martedì 15 dicembre 2009

Black. Out.




- Ci hai mai pensato?

Si. No. Forse. Può darsi.
Dipende dalla domanda.
- A cosa?
Schiocco di lingua, respiro profondo.
- A com’era prima che arrivassimo noi.
Ok, ammetto che inizia ad essere divertente. Così eh, giusto perché non ho niente che posso fare al momento. Tranne fissare il buio.
- Taglia corto. Com’era cosa?
Sospiro stizzito. L’irritazione del prestigiatore a cui viene chiesto di svelare il suo trucco.
- A com’era il mondo prima che noi nascessimo.
Ah ah ah. Questa l’ho già sentita.
Va bene, ci sto. Tanto sono bloccata qui dentro, non è che abbia molte alternative.
Si, in effetti ci ho già pensato.
Più di una volta.
Ci sto pensando anche ora, se è per questo.
Si, proprio ora che un temporale gigantesco, una vera e propria tempesta oserei dire, si è
abbattuta su Solian City e sulla mia casa, tagliando via la corrente elettrica e mandando in black-out l’intero isolato.
Che disgrazia. Ma ti immagini? Un intero paese senza elettricità, forse anche di più.
Te ne accorgi prima di tutto perché ti salta internet. Si, dico bene: la prima cosa che noti non è che la casa improvvisamente piomba nel buio, ma l’avviso che ti manda il tuo caro computer: CONNESSIONE PERSA.
Tragedia.
A questo punto bestemmi mentalmente in tutte le lingue che conosci, dialetti compresi
(che a pensarci bene, non sono poi tanti). Mandi a fanculo l’Enel e compagnia bella, ti alzi trascinando con te il computer che ormai funziona a batteria, e ti sposti da una stanza
all’altra usandolo come torcia.
Dopo di che, ti stendi sul divano e inizi a contare le pecore, in compagnia di una
vocina rompiscatole.
Perché in effetti la verità è che senza elettricità, oggi sei fottuto.
Niente internet. Niente Tv. Niente Stereo. Niente di niente.
Anche niente luce, ma va beh, quello alla fine non è poi così grave.

- Come facevano 90 anni fa, quando la corrente elettrica non l’avevano neanche inventata?!
Eh, bella domanda. Prova a chiederlo a chi ci è vissuto, 90 anni fa.
Dal canto mio, io so solo che così è terribilmente scomodo.
Mi alzo dal divano, mi stendo direttamente sul pavimento.
Faccia in giù, mani accanto alla testa. Guancia contro il marmo gelido.

Forse dovremmo tornare a Milano. In piazza Duomo, sotto l’albero di Natale più grande che io abbia mai visto. Forse dovremmo tornare a non dormire la notte, a camminare tutto il giorno, a scherzare in treno. A fare foto e a cantare. Davanti all’ingresso della Scala. Lì dove le ombre sono bianche, e la luce è grigia. A ricordarti che non tutto è scontato e che niente è come sembra.
Chissà come sarebbe, Milano, in mezzo ad un black-out.

-Piove.
Diluvia, a dire la verità. Chissà con chi il cielo si è incazzato così tanto.
Fa un sacco di un rumore, eppure non riesco ad averne paura. Perchè c’è una cosa, della pioggia, che mi ha sempre affascinata: non cade mai nello stesso punto. Ogni spruzzo, ogni goccia d’acqua trova la sua precisa collocazione: sui petali di un fiore, tra le foglie di un albero, sulle rocce, tra i capelli di un passante. Ogni gocciolina d’acqua è identica a tutte le altre, eppure è unica.
Figo.

A Milano non ha piovuto. Ha nevicato, solo per un attimo. Illusione di un inverno non visto da
tanto.
Voglio tornare a Milano.


- Ehi, io esco.

Chiudo il computer con un colpo secco, soffocando l'unica fonte di luce. Balzo in piedi.
- Dove vai?
Curiosità, meraviglia.
- Fuori.
Afferro il cappotto, al buio.
- Ma sei scema? C’è il temporale!
Chiudo la zip, sollevo il cappuccio di pelo.
-
Ha quasi smesso. E poi c’è una cosa che voglio fare.
Cerco a tentoni la porta, senza vederla.
- Che cosa?
Abbasso la maniglia e salgo le scale. Dietro di me una scia di incredulità e stupore.
Arrivo in cima, nella testa il ronzio di un’eco già lontana.
-
Voglio vedere questo mondo prima che torni la luce.
Poi mi giro ed esco fuori, sul terrazzo.
Aria fredda, vento in faccia. Gocce d’acqua sopra il viso, l'umido pungente che pizzica le narici.
La luna si vede meglio, al buio. Anche le stelle, e le nuvole.
Giù invece non si vede quasi nulla. Solo lo spettro silenzioso della campagna scura, e il chiaroscuro ipnotico di un paese nel buio.
Lampioni spenti, un abbaiare lontano, echi sconnessi. E poi nient’altro: non passa nessuno, non si muove una mosca. Tutto è fermo, sospeso e silenzioso, come se uno spettatore annoiato avesse premuto distrattamente il tasto dello stop per andare in cucina a farsi una tazza di caffè, stanco di un film piatto e senza colpi di scena. Come se un pallido flash avesse catturato per sempre quel fremito di immobilità in una fotografia in bianco e nero. Affascinante.
-
E con il post come fai? Lo lasci così?
Però in lontananza, lungo l’orizzonte, si riesce già a vedere qualcosa.
È la luce che ritorna. Lentamente, di strada in strada, serpeggiando tra gli edifici.
-
Che importa? Tanto è senza senso. Lo capirei solo io.
Le nuvole pian piano si ritraggono, lassù, e il sereno squarcia il temporale.
E poi ho finito la batteria.